Ingredienti
Un chilo di farina.
450 gr di zucchero.
400 gr di burro morbido.
Quattro uova intere e tre tuorli.
Vaniglia.
Limone ed arancio grattati e strizzati.
Confettini colorati.
Liquore all’anice mezzo bicchierino.
Mezza tazzina di latte.
Due bustine di lievito.
Un pizzico di sale.
Preparazione
Fate l’impasto. Mettete la farina sul tavolo, con tutti gli ingredienti, ed impastate velocemente. Il latte, se occorre, mettetelo all’ultimo momento. Prendete la teglia del forno e mettetevi della carta da forno. Spianate la pasta, prendete le formine e, con esse, tagliatela e mettetela sopra la teglia. Sbattete un uovo con un goccio di latte. Con un pennello tuffato nell’uovo, ungete la pasta e, sopra, mettete i confettini colorati. Scaldate il forno a 200 gradi, infornate e dopo 10 minuti dovrebbero essere pronti, di un bel colore fra il dorato ed il nocciola. Se dovete conservarli metteteli, avvolti nella carta, in una scatola di latta, così non perderanno la loro fragranza.
Questo tipo di biscottini si iniziano a fare prima di Natale e si continua fin dopo la “befana” (cioè l’Epifania). Qualcuno continua a farli per tutto l’anno. Servono a ricordare le festività natalizie. Sono fatti con delle piccole forme che rappresentano i re magi, la befana, la stella cometa, i cuori ecc. Un po’ di anni fa, non tutte le famiglie avevano il forno a legna in casa. In tante corti ce n’era uno per tutti e le massaie dovevano trovarsi d’accordo per cuocere le torte o il pane. Ognuna aveva un proprio orario di utilizzo e così non c’erano discussioni. Quando si cuocevano sia i befanotti che le torte o il pane, il profumo si espandeva per tutto il paese ed anche chi era “distratto da altre cose” ricordava che c’era una festa in arrivo. Tutto aveva inizio qualche giorno prima della cottura, perché le donne andavano sui monti a fare la legna per scaldare il forno. Qui in Lucchesia c’è la tradizione di preparare il “buccellato”, le torte di verdura fatte con pane raffermo (o riso), bietola, prezzemolo, frutta secca, zucchero e spezie, le torte col cioccolato, agli amaretti, alle mandorle. Diciamo che c’era una specie di gara a chi le faceva meglio. Era una bella competizione. Era il sale della vita, anche se nessuno lo dava a vedere. Se ad una massaia non venivano troppo bene, le critiche sotto sotto non mancavano. Divertimenti ce n’erano pochi. Più che altro venivano organizzate delle feste nelle case. Il mio ricordo di bambina è una chitarra che suonava il papà di una mia amica di scuola (Alda) che faceva l’imbianchino e si chiamava Giuseppe. Un altro si chiamava Brunino e suonava la fisarmonica. E poi c’era Livio che suonava il clarinetto. Anche mio padre Alipio in quegli anni suonava uno strumento chiamato “banjo”. Insieme con amici avevano composto un’orchestrina ed andavano a suonare anche a S. Ginese, dove lì conobbe mia mamma Assuntina. C’era un cugino di mia madre che provava, senza successo, a suonare il violino. Mio padre lo invitava ad unirsi a loro, ma lui rispondeva sempre che non sarebbe andato perché doveva studiare le crome e le biscrome e, allora, fu così che gli misero il soprannome “Biscroma”. Suonava al terzo piano della sua abitazione e, d’estate, con le finestre aperte, vi usciva un lamentoso suono “fiiiiiiifiiiiiiiiifii”. Nella corte sopra abitava un tipo bizzarro di nome Bastiano (era il nonno della mia amica Argentina) e, quando usciva dalle finestre il suono stonato del violino “finooofinooo”, diceva ridacchiando: “’IO CCAIO” (era una parola che diceva spesso) e poi proseguiva urlando: “TAGLIALO FINOOO” (riferendosi al fatto che il violino, anziché suonarlo, avrebbe fatto meglio a segarlo a piccole fette). Chi lo sentiva “schiantava” dalle risate. Peccato che non ci siano più questi personaggi che ancora oggi ricordiamo con nostalgia. Questi befanotti servivano anche per riempire i cestini per la befana insieme a mandarini, fichi secchi, noci e, se andava bene, una bambola di pezza fatta dalla mamma.